La Fortezza è della Mente
Una visita solitaria a Castel del Monte
di Elisa Cazzato
Era il castello solitario, grigio, stentoreo, radicato al suolo e al contempo quasi sospeso in aria, definito ma amalgamato ad un tappeto grigio di nuvole.
La sua immagine diventava sempre più chiara nell’avvicinamento, era lontano dallo sgretolarsi continuo della pietra dell’estremo sud pugliese, teso ad affrontare le intemperie, baluardo e scrigno di mistero, appeso all’eternità.
Non era una curiosità calma a trasportarmi lì, ma un’inquietudine quasi germanica, lontana dai trastulli psicologici mediterranei.
Raggiungerlo tra il vento che sferzava folate nordiche e la vegetazione rigogliosa che ne allontanava l’accesso, era come affrontare simbolicamente un rischio.
Una volta raggiunto l’ingresso, esso invitava a girare intorno alle sue mura, come se si potesse sorvolare da terra, anziché dal cielo, per cercare di comprenderne l’arcano.
Le pareti umide, il suolo scivoloso, le scalinate vorticose per raggiungere il piano superiore: a un certo punto non sentivo più di essere in un’architettura di pietra, ma in una umana. Mi sembrava di essere in un organo: nella mente.
Forse poiché dev’essere stato così intenso, alto e vorticoso l’intelletto di chi lo ha desiderato e di chi lo ha progettato.
Ogni sua parte mi comunicava qualcosa del pensiero e della ricerca spirituale: i grandi vuoti e i grandi schemi, gli ostacoli, gli spiragli di luce, le illuminazioni.
Tutto suggeriva di andare oltre la suggestione, di considerare la fortezza solo della mente.