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Castello d’Amore di Ugento: Il Tempo Nuovo

di Elisa Cazzato

Fotografie di Claudia Prontera

O stagioni, o castelli! Le prime passano, i secondi restano (se fortemente voluti).

Diana Bianchi, proprietaria del Castello D’Amore di Ugento, ci accoglie con una gentilezza autentica, ricordandoci con leggerezza proprio questo: che siamo di passaggio in un luogo potenzialmente eterno.

La maestosità dell’edificio, addolcita da numerose piante che la accarezzano, non ci incute timore, essa anzi ci abbraccia e ci protegge tra spesse pareti gialle, impregnate di sole, in cui le stagioni dell’uomo si sono susseguite lasciando tracce diverse e indelebili.

Gustiamo la quiete degli esterni, il senso di pace dell’ordine e della cura.

Diana e il marito Massimo, la cui famiglia è proprietaria del castello dal 1643, ci aprono le porte delle camere, nove suites contemporanee, in cui vi è un equilibrio delicato di antico e moderno.

Attraversiamo un passaggio segreto e ci ritroviamo nel cuore della meraviglia: il giardino di piante utili, l’hortus conclusus, pullulante di vita nuova. Diana ci illustra piante e fiori presenti, più di cento, in una composizione che rappacifica l’animo.

Un piccolo Eden in cui la grandezza dei torrioni si alterna ai minuscoli fiori che ancora in questa stagione fioriscono garbatamente.

Con la sensazione sempre più forte di uscita dal tempo continuiamo a esplorare questo gioiello, portato a vita nuova dall’amore della famiglia, dopo un periodo di abbandono, con una coraggiosa opera di ristrutturazione. Tutto è vivo e contemporaneo: la vocazione al presente è anche nel ristorante del castello, Il Tempo Nuovo, il regno dello chef Tommaso Sanguedolce, i cui sapori colti possono degustare anche coloro che non alloggiano nel castello.

Il nuovo trova la sua massima espressione nel luogo in cui si apprende: qui infatti tra cucine modernissime, del tutto rispettose dell’antichità dell’edificio, è stato creato il  Puglia Culinary Centre, con la leadership della chef Odette Fada. Si tratta una scuola di eccellenza in cui aspiranti chef, provenienti dall’altra parte del mondo, apprendono l’arte dell’alta cucina pugliese e italiana.

Il castello è un luogo meravigliosamente aperto anche a chi volesse affinare la conoscenza della cucina senza farne un lavoro, con corsi brevi tenuti dalla guest chef.

Continuiamo ad attraversare sale, corridoi, portici e ci sembra veramente di essere in viaggio non in un solo edificio, ma in una città.

Ovunque vi sono soprese, come l’affresco raffigurante soldati normanni, un brano che mi riporta ai viaggi in terre nordiche, più che in quelle mediterranee… Diana ce lo mostra con l’orgoglio di chi è custode di una così prestigiosa testimonianza.

Saliamo per lo scalone d’onore che ci trasporta invece subito a Napoli, con un barocco gentile della scuola di San Felice, che disegna una nuova forma del cielo. E tanti cieli ci aspettano nelle sale museali, scrigno dei ricordi dell’infanzia di Massimo. Qui, in un’infilata di sale affrescate in stile alto barocco, tutte dedicate al tema beneaugurante del cognome di famiglia, ovvero l’ Amore, si alternano piccoli cupidi e divinità amorose, in un tripudio fantasioso che riempie gli occhi.

Siamo in alto, all’orizzonte vediamo il mare, sotto di noi il centro storico trapunto di tetti delle piccole case, palazzi nobiliari ed ecclesiastici e il tetto moderno del Museo Archeologico che ci riporta alla nostra epoca. La piccola città è un tappeto che si estende sotto a un grande occhio vigile, speciale, che trasuda la quiete di cose rinate, per volontà, per grande passione, per amore.

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